«Dramma giocoso» viene definito nel libretto il "Don Giovanni" di Mozart. Ma a conti fatti, dopo la sortita comica di Leporello che si lamenta delle durezze del servire un padrone libertino ed arrogante, il fondo dell'azione ricade di continuo in una luce di una cupa tragicità, sino a sfociare in quell'ultima ferale scena - l'apparizione dello spettro del Commendatore - che da sempre suscita un brivido nello spettatore, fondendo abilmente dramma ed un tocco di magia. Ci sono in mezzo, certo, le divertenti pavidezze e le bugie di Leporello, le comiche angherie e le bastonature subite da Masetto; ci sono pure gli allegri canti nuziali, le tenere carezze di Zerlina ed i languori estatici di Don Ottavio. Ma le imprese di Don Giovanni allungano su tutto un'ombra fosca, un clima da incubo fantastico nel quale la sua figura si staglia non tanto come una potenza maligna e proterva, quanto piuttosto come una forza ancestrale ed inarrestabile, una forza non necessariamente solo negativa, raffigurando un eccesso di prepotente ed esuberante vitalità, pronta a blandire un'aspirazione nascosta in ognuno di noi. La voglia segreta, cioè, di non incontrare limiti e ostacoli nel poter godere appieno d'ogni attimo di vita.
Questo profondo, inimitabile contrasto di gajezza e di turbinosa drammaticità - che inizia proprio dalle prime battute della splendida introduzione orchestrale - ha trovato da sempre svariate chiavi di lettura: chi va privilegiandone la palese dicotomia, chi va cercando la strada d'un olimpico equilibrio tra le opposte componenti. Con pochissime prove a disposizione (ma conoscendo bene una partitura già altre volte affrontata) Giampaolo Bisanti ha scelto questa seconda opzione, già da una ouverture improntata ad una febbrile inquietudine, e proseguendo spedito nel suo cammino senza pesantezze romantiche né forti contrasti, coll'intento di evocare invece una teatralità spontanea e naturale, nella quale freschezza orchestrale e sgorgar di canto si accompagnano con felice immediatezza. Dovendo preparare uno spettacolo così difficile in breve tempo, buon per lui l'avere a disposizione una compagine duttile ed affiatata, vale a dire l'Orchestra di Padova e del Veneto ferratissima nel repertorio sette-ottocentesco, il suo consueto campo d'elezione. Ed un cast formato in massima parte da giovani talenti che però, in buona parte, hanno già affrontato positivamente i rispettivi ruoli: cantanti perfettamente in grado, di conseguenza, a dare vita ad uno spettacolo agile e divertente procedendo in buona intesa con direttore e regia. Simone Alberghini è un basso baritono brillante nel carattere, forte di un'emissione scorrevole e morbida, dal timbro ammirevole ed omogenea nella gamma. In più, possiede una presenza scenica magnetica e massimamente autorevole: dal punto di vista interpretativo, un Don Giovanni dai tratti ideali. Degna spalla gli era il Leporello di Andrea Concetti, la cui voce è un po' meno imponente; però la varietà e la fantasia dell'accento, e la solidità dell'impianto vocale del fanno pur sempre la loro bella parte, dando piena concretezza ad un personaggio estroverso e vitalissimo. Il giovane tenore coreano Sang Jun Lee ha compitato molto bene e con bella grazia i suoi due interventi solistici, risolvendo degnamente un ruolo - quello di Don Ottavio - di per sé sicuramente anodino e ingrato. Decisamente interessante il debutto nel ruolo di Donna Anna di Angela Nisi, giovanissima soprano pugliese; la sua è una voce promettente perché per natura ricca di colori e di armonici, molto bella nelle timbrature scure, da perfezionare meglio nel gusto interpretativo e un pochino nell'intonazione. Mestiere ed esperienza non difettano invece a Paola Cigna, che per il timbro luminoso e la sicurezza interpretativa ha proposto una Zerlina adorabile, nelle candide vesti d'una deliziosa agreste ammaliatrice: giocando insomma con sagacia le carte di un personaggio un po' ambivalente (ci sta, o non ci sta…ci si chiede sempre) ma che per nulla dev'essere lezioso. A fianco le stava il bravo Andrea Zaupa, Masetto pressoché perfetto per la giovanile, ingenua baldanza infusa nel personaggio, ma anche la bravura scenica e per una linea di canto sorvegliata e solida. Buona la prestazione del basso trevigiano Enrico Rinaldo nei panni del Commendatore. L'unico anello debole della catena era l'inconsistente Elvira di Mina Tasca Yamazaki, dalla voce esile e incolore, sfocata in alto e vuota in basso, e deplorevolmente priva di consistenza nei recitativi. Momenti che in Mozart non sono mai una passeggiata…ricordiamolo bene.
Lo smisurato spazio scenico del Pala Bassano è stato abilmente riempito dallo scenografo Giulio Magnetto con alte e rosse pareti mobili, pronte a variarne la volumetria; qualche semplice intervento - come le lunghe ghirlande di fiori per la festa campestre, od una vasta tavola sormontata da un grande specchio deformante per il Finale - bastavano a dare senso a quanto accadeva sulla scena. La regia di Federico Bortolani procedeva con giudizio e buone intuizioni, palesanso uno spiccato senso del teatro: nulla era in più, nulla era in meno di quanto potesse servire ad uno spettacolo serrato e coinvolgente. E gli accorti cambiamenti a vista delle scene in un palcoscenico abbuiato, mentre gli interpreti agivano in appositi spazi accanto all'orchestra - quei momenti, cioè, un tempo normalmente risolti con il calar di sipario - non sottraevano fluidità al racconto. Molto belli i costumi giocati sui toni candidi per i giovani contadini, tutti in elegante rosso e nero per gli altri, adottati da Manuel Pedretti. Pertinenti le luci di Sandro Dal Prà, corretti gli interventi del Coro Lirico Veneto preparato da Dino Zambello. Questa nuova produzione di "Don Giovanni" ha chiuso con un notevole successo di pubblico il cartellone 2012 del Bassano Opera Festival, giunto ormai alla sua 32^ edizione.
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